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ATTENZIONE E PERFORMANCE

a cura di dott. Marco Gritti

                               

E' noto a tutti come la prestazione di atleti possa peggiorare sensibilmente quando l’esecuzione del compito avviene in un contesto ad alto contenuto emotivo (come una competizione). Questo fenomeno psicologico è definito in letteratura “choking under pressure” e sembra essere fortemente determinato da processi attentivi.
Nei compiti di natura motoria la pressione psicologica esercitata da eventi a forte contenuto emotivo incrementerebbe l’attenzione verso i gesti che si stanno compiendo, verso i singoli movimenti svolti, nel tentativo di effettuarli il meglio possibile e disgregando – in maniera paradossale – gesti automatici
già ampiamente rodati (Masters 1992).
È noto come l’acquisizione di un gesto motorio richieda il superamento di alcune tappe di apprendimento che comportano il passaggio tra processi espliciti che necessitano di attenzione ad altri, invece, impliciti ed automatici (Anderson, 1982). In particolare Fitts e Posner (1967) hanno teorizzato 3 fasi: nel primo gradino
(la fase chiamata cognitivo-verbale), gli individui imparano sulla base di strutture
cognitive fondate sulla memoria di lavoro attraverso un processo di apprendimento che comporta l’osservazione del proprio gesto passo per passo. L’attenzione consapevole sarebbe in questo caso fondamentale per una miglior comprensione del movimento. Nello stadio successivo (fase associativa), la prestazione migliora progressivamente, richiedendo un minor sforzo cognitivo per la sua
realizzazione ed il soggetto sviluppa internamente un concetto di correttezza del gesto che lo aiuta autonomamente a valutare la propria prestazione. La continua pratica porta infine all’ultima tappa del processo di apprendimento (fase automatica), caratterizzata da processi quasi esclusivamente automatizzati che non richiedono un contributo dell’attenzione consapevole (Kimble e Perlmuter,
1970; Schmidt e Lee, 1999): questo permetterebbe di svolgere parallelamente anche altre attività (Ruthruff et al., 2006). L’attenzione passo per passo in quest’ultima fase (come avveniva nella fase di studio iniziale) sarebbe, al contrario, in grado di danneggiare un’abilità motoria consolidata, bloccandone in parte gli automatismi.
Beilock e collaboratori (2002) hanno ad esempio dimostrato come la direzione dell’attenzione verso i propri gesti influenzi negativamente la prestazione sportiva tanto nei calciatori quanto nei golfisti esperti.
Ai soggetti veniva richiesto di effettuare un compito di loro competenza focalizzando l’attenzione sui gesti da compiere. Di fronte ad automatismi rodati nel tempo (come effettuare un dribbling o un lancio) è stato
osservato un decremento nella prestazione quando la concentrazione veniva indirizzata verso il compito motorio da svolgere.
In uno studio sulla prestazione di giocatori di baseball professionisti e non professionisti nell’atto di effettuare un lancio, Gray (2004) ha manipolato l’attenzione in due direzioni opposte: nel primo caso il compito motorio veniva accompagnato da un esercizio parallelo che richiedeva lo spostamento
dell’attenzione verso un evento extra sportivo (come un suono); nel secondo caso l’attenzione veniva direzionata alle componenti strettamente esecutive (come la direzione che lo sportivo imprimeva alla mazza da baseball). I risultati documentano una differenza nella prestazione e nella cinematica di movimento sulla base del livello di expertise dei soggetti: nei compiti che prevedevano lo spostamento
dell’attenzione verso eventi slegati al gesto da compiere la prestazione dei giocatori apprendisti peggiorava significativamente, mentre non si registravano cali in quella degli esperti. Viceversa, il pensare al movimento da compiere determinava un maggior numero di errori tra gli esperti ma non aveva influenza sull’altro gruppo di giocatori.


Rapporto tra direzione dell’attenzione e prestazione finale in
funzione del grado di conoscenza delle procedure di
risoluzione del compito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RISORSE

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